Per molti anni e fino a quella estate,
nelle mie lunghe passeggiate, mi accompagnava sempre Teo. Camminavamo insieme,
saltavamo, giocavamo. La meta era sempre il fiume. Una corsa a chi arrivava
prima in fondo al filare di pioppi, e poi giù, distesi sull'erba fresca,
ansimanti. Restavamo in silenzio a guardare
le nuvole, a sognare di caderci dentro... e nuotare, nuotare... Poi un'altra
corsa, e un'altra sosta, e altri sogni, tanti, tantissimi sogni su tutto quello
che avremmo voluto fare insieme.
Gli volevo bene, sì, gli volevo
proprio un gran bene. Era il mio unico vero amico e solo a lui, soltanto a lui
avevo confidato certe cose.
Poi, un giorno, mentre tornavamo a
casa, una macchina impazzita lo falciò, sul ciglio della strada. Lui rotolò nel
fosso, intontito, stordito. Eppure riuscì ad alzarsi subito. Niente di rotto.
Proprio niente. Risalì la sponda quasi felice. Ma... Teo..|
Teo era steso sull'asfalto. Immobile.
Un sottile filo di sangue gli usciva dalla bocca.
Ricordavo perfettamente il sapore
salato delle lacrime, lacrime e vomito. Poi la speranza. Era ancora vivo, sì,
era ancora vivo. Ma... paralizzato. Lesione alla spina dorsale. E poi due mesi,
due lunghissimi mesi di calvario fra punture, flebo, terapie. Lo vegliavo
giorno e notte, con tutta la cura e l'amore che potevo. Teo mi guardava con lo
sguardo di chi supplica di vivere. Ogni tanto piangeva. E intanto si consumava,
si consumava. Era diventato irriconoscibile, debole, magrissimo, sempre più
immobile. Si stava spegnendo, non c'era più speranza.
Non c'era più speranza. Il giorno che
morì, per affogare il dolore, presi una penna e cominciai a scrivere:
"Ti avrei portato in Africa con
me. Sicuramente avresti voluto vedere gli immensi spazi vuoti, le nuvole a
forma di elefante, le orchidee più preziose. Sicuramente ti saresti seduto
sulla cima della collina più alta, per ascoltare il vento, per capirne i
pensieri, le malinconie, i segreti più profondi. E poi giù, una corsa pazza tra
le erbe alte della savana. Libero, finalmente libero di sognare, di giocare, di
sentirti vivo. Soltanto a sera ti saresti calmato, fermo nell'ultima luce del
tramonto, per gustarti un cielo vestito di stelle. Soltanto allora, la tua
anima di cocker, sarebbe andata in paradiso.
Il mio piccolo, dolcissimo cagnolino
non c'era più.
Un nodo in gola mi ricordò che forse
era meglio rientrare.
Per oggi al fiume non ci sarei andato,
no, era meglio di no.
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